Dopo il racconto di Roberto Mahlab sulle "stelle cadenti", pubblicato lo scorso 21 agosto, torniamo a parlare del Memoriale della Shoah di Milano: un luogo che grazie alla collaborazione tra Sant'Egidio e la Comunità ebraica di Milano combatte l'indifferenza con l'accoglienza. Nel luogo dove durante la seconda guerra mondiale partivano i convogli per Auschwitz, trovano ospitalità circa 50 minori non accompagnati, giunti recentemente in Italia. L'edizione milanese de "La Repubblica" racconta la storia di uno degli ospiti del Memoriale della Shoah.
"La Repubblica", edizione di Milano – 21 agosto 2017
di Rita Dazzi
Dejen, dodici
anni in cerca di un sogno
“Fatemi
raggiungere la famiglia in Olanda”
E’ fuggito dall’Eritrea, da solo vagava in Centrale e ora è diventato la
mascotte del rifugio al Memoriale della Shoah
Ha solo dodici anni e un sogno in testa, Dejen. Senza genitori e senza
soldi, è scappato dal suo paese, l’Eritrea. Ha attraversato il deserto, la
Libia, il mare, l’Italia, ed è arrivato a Milano. Alla stazione Centrale. E da
qui voleva ripartire per andare in Olanda, dove vivono alcuni parenti. Non lo
ferma nessuno. Dejen, dodici anni e il cuore pieno di paura. Da una settimana
dorme al Memoriale della Shoah di via Ferrante Aporti, dove è in corso per il
terzo anno consecutivo il progetto di accoglienza notturna gestita in
collaborazione da comunità di Sant’Egidio, comunità ebraica, chiesa anglicana e
diverse altre realtà con oltre 250 volontari che si danno il cambio. Ogni notte
sono 50 posti letto e non ne resta mai libero uno, anzi, in diversi restano per
strada, come spiega Stefano Pasta che per Sant’Egidio è uno dei coordinatori
dell’iniziativa, grazie alla quale in un mese oltre mille persone sono state
accolte per la notte. Chiuso l’hub comunale di via Sammartini, questo è l’unico
ricovero al coperto nella zona della stazione rimasto a disposizione di chi
viene vomitato fuori dal grande ventre della Centrale. Fra questi, tantissimi bambini: nove su dieci di quelli che ottengono il
posto non hanno compiuto 18 anni. Sono “minori stranieri non accompagnati”,
come li chiama la burocrazia, con la sigla “Msna”. Fra loro, la mascotte è
proprio Dejen, il più piccolo fra i ragazzini che dormono al Memoriale, che
sorge sopra al Binario 21.
Con le poche parole di inglese che conosce il bambino ha spiegato la sua storia
ai volontari di Save the Children che operano al Memoriale. – La mia mamma e il
mio papà sono scappati de anni fa. Sono andati in Arabia Saudita perché sono
oppositori del regime che governa l’Eritrea. Mi hanno lasciato con una zia. Io
per un po’ sono stato lì, sperando che loro tornassero, ma il tempo non passava
mai, era infinito e loro non tornavano-, ha raccontato.
Da qui la decisione, presa come un adulto, di scappare dal Paese governato
da 1993 dal dittatore Isaiah Afewerki. –fra poco compirò 13 anni, se fossi
rimasto in Eritrea sarebbero venuti a prendermi per arruolarmi nell’esercito –
spiega il piccolo ai mediatori – e dopo non avrei mai più rivisto i miei
genitori. L’unica soluzione era andarmene -.
Solo la forza della disperazione può aver spinto questo ragazzino alto e
magro, come lo sono spesso gli eritrei, a macinare chilometri e chilometri, per
arrivare al barcone che dalla Libia lo ha portato a Lampedusa, un mese fa. Non
si sa a chi si sia unito e dove sia finita la zia a cui era affidato. - Di
certo alla stazione di Milano girava da solo. Di giorno al centro di Save the
Children, di notte al Memoriale – racconta Stefano Pasta -. Aveva una ferita ad
una gamba, chissà come procurata, e una brutta infezione. Lo abbiamo convinto
ad andare all’ospedale, lo hanno trattenuto qualche giorno per curarlo. Ancora
adesso sta prendendo l’antibiotico ma sta dormendo da noi, come altre decine di
minori africani senza famiglia -. E’ l’estate dei bambini soli alla Stazione.
Così tanti in questi ultimi mesi, che il Comune sta facendo molta fatica ad
accoglierli tutti, nelle comunità protette, come chiede la legge. Nell’ultimo
rapporto dell’assessore alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino si parla
di 135mila migranti transitati e “accolti” anche solo per pochi giorni a Milano
dall’ottobre 2013 al mese di luglio scorso. Di questi 25.273 sono minori senza
famigliari, come Dejen. Di questi “bambini di guerra”, oggi 690 sono sotto
tutela del Comune: 609 in comunità, 30 in affido e 51 nei “Cas”, centri d’accoglienza
straordinaria. Anche Dejen è destinato a finire in una di queste strutture: -
Abbiamo segnalato a Pronto intervento minori la sua situazione e aspettiamo che
trovino un posto per lui – continua Pasta -. Siamo appena riusciti a far
spostare in comunità altri sei ragazzini che abbiamo strappato alla strada. Qui
stanno bene, ma è una sistemazione provvisoria, d’emergenza -. Chi vede Dejen
tutti i giorni, racconta che il morale del bambino è buono e che la ferita alla
gamba sta guarendo. Per Dejen poi si aprirà – lui lo spera, almeno – un altro
capitolo. Quello della “relocation” che è il trasferimento legale e
accompagnato dallo Stato in un Paese della Comunità Europea, nel suo caso
l’Olanda, dove abitano i suoi parenti. Sono già 462 i migranti che a Milano
hanno usufruito di questo “ricollocamento”, 172 solo nel mese di luglio. - Lui
parla solo della sua famiglia, del suo sogno di arrivare nel paese dei tulipani
per ricongiungersi con le sue radici. I suoi genitori, in Arabia Saudita,
secondo le informazioni raccolte dalle Ong, stanno raccogliendo i soldi per
completare il loro viaggio, raggiungendo anche loro l’Olanda. Dove potranno
riabbracciare Dejen.
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