In carcere, il senso del Natale e della libertà

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Qualche ora senza cellulari né borse né niente. Un'altra dimensione. Tante facce emaciate. Denti marci. Capillari rotti. Tatuaggi. Sguardi nel vuoto. Occhi stanchi. Pelle e vita consumate  Ci sediamo a tavola. Due minuti di conversazione e già conosco il casellario giudiziale della metà dei commensali. 
Con me sono gentili. Uno senza peli sulla lingua: "Io so 'n Casamonica, chi jo da 'n lavoro a 'n Casamonica? Tu mo daresti?". Un altro: "Io sto qua da 18 anni, sai da quanti anni non faccio natale? Da 18". Domande: "Ah, quindi siete della Comunità di Sant'Egidio... ma alla comunità vostra aiutate i tossicodipendenti? Se ci vengo m'aiutate? È 'na vita che tiro avanti col metadone". Continuiamo a mangiare, arriva il panettone, io volevo quello al cioccolato ma mi è capitato ai canditi. M., che - non si direbbe - ma ha alle spalle un omicidio e due tentativi, scambia il suo col mio. Poi non lo mangia, i canditi in realtà non gli piacciono  
Arriva il momento della tombola  "Ah, c'avemo pure a tombola? Me sto a sentì a casa. Dio ve benedica". Un altro più ironico e buontempone: "Se famo tombola vincemo 'a libertà?". Chiamano il numero 92, uno di loro controlla le sue cartelle. Grasso, grosso, cicatrici e tatuaggi, apparentemente rude. Gli faccio notare che a tombola il 92 non esiste, lui, imbarazzato: "E che ne so? Io a tombola non c'ho mai giocato..." 
Poi il karaoke. Spostiamo le sedie nell'altra stanza, qualcuno mi aiuta  Emanuele con una bellissima voce canta "Adesso tu", un altro "Cercami". Nel frattempo un senegalese dal perfetto italiano mi ringrazia commosso per questa giornata. Mi dice che per loro il mondo rimane là fuori, non esistono per nessuno. I tossici fanno schifo. Poi ancora un ringraziamento, nella sua lingua, allora mi abbraccia e ci scambiamo gli auguri. Arriva il momento dei regali, altri ringraziamenti. "Grazie. C'avete fatto uscì du' ore dar carcere". Alla fine, sparecchiando e riassettando, nelle aule scuola dove studiano e dove oggi abbiamo mangiato, leggiamo su un banco "Dove niente ha più un senso. Qui" E un'altra scritta, lasciata da qualche ottimista: "Solo chi ha vissuto il profondo nero dell'abisso può vedere le stelle". Io, che per fortuna nell'abisso non ci sono sprofondata, oggi ho comunque toccato le stelle e trattenuto a forza le lacrime. Proprio lì, a Rebibbia, dove per qualcuno nulla ha più un senso, io ho ritrovato quello vero del natale e della libertà.
Maria Laura Perrone

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